lunedì 11 marzo 2013

Crash Crash Boom Boom

Crash Crash Boom Boom



Una quindicina di anni fa (eravamo nel 1997) il prestigioso settimanale londinese The Economist presentava, in copertina, una gustosa vignetta di Kevin Kallaugher, il mitico KAL del Baltimore Sun, che era stata disegnata nel lontano 1989 ma che era allora, come lo è oggi, perfettamente attuale.
The Economist



Le immagini della vignetta descrivevano ironicamente una delle fonti dell'attività di negoziazione in un mercato più attento alle voci che ad altro: la catena disinformazione-paura-disinformazione-avidità-disinformazione.

L'articolo a commento della copertina prendeva, più concretamente, lo spunto dalle recenti vicende della Borsa di Hong Kong che, reduce da un primo semestre positivo, era precipitata del 35 per cento in un solo trimestre -dall'inizio di luglio all'inizio di ottobre 1997- un tonfo attribuito dai commentatori a previsioni di un semplice rallentamento della crescita delle economie dell'Estremo Oriente.

Tokyo, a sua volta, era caduta del 19 per cento, ma la discesa si era tuttavia manifestata, seppure in misura meno drammatica, anche a New York (meno 9 per cento il Dow Jones), nonostante gli USA stessero attraversando un periodo di crescita stabile, con poca disoccupazione e modesta inflazione.


Il redattore imputava l'accaduto a tre cause.


@tuvforum.mastertopforum.com

La prima, di tipo psicologico di breve termine: un'irrazionale ondata di 
panic-selling, della quale era difficile individuare il momento scatenante iniziale, così come non sempre si riesce a vedere se ci sia un ghepardo affamato dietro a un branco di gazzelle o di antilopi in fuga.



@www.nibi-milano.it











La seconda, una ragione pratica: la crescente interconnessione delle economie e dei mercati.




La terza, ritenuta la più importante, è ancora di ordine cognitivo. Un substrato psicologico comune ai mercati, al di là delle loro connessioni economiche e finanziarie.

@http://isolafelice.forumcommunity.net

Quest'ultimo fattore viene descritto come una minore sensibilità al rischio di mercato, indotta negli investitori da una lunga cavalcata al rialzo.
Dal 1996 sino a metà del 1997, negli investitori in azioni ed obbligazioni asiatiche si era insinuata la convinzione che il premio al rischio da pagare per quei titoli rispetto a quelli americani potesse essere, in fondo, trascurabile. Un atteggiamento che viene riassunto in una lapidaria definizione: hubris (arroganza).


La parola ci riporta all'aristotelica hybris, la tracotanza degli umani che, nella tragedia greca, viene inesorabilmente punita con la némesis, sdegno e vendetta degli dei.
@www.marianotomatis.it
 

In anni più recenti, Nassim Taleb ci aiuterà ad approfondire il termine, parlandoci di arroganza epistemica.
@www.londonita.com



Ma questa è un'altra storia,
una storia di Cigni Neri.


Ne parleremo.








Nessun commento:

Posta un commento