Crash
Crash Boom Boom
Una
quindicina di anni fa (eravamo nel 1997) il prestigioso settimanale
londinese The Economist presentava, in copertina, una gustosa
vignetta di Kevin
Kallaugher, il mitico KAL del Baltimore Sun, che era stata disegnata
nel lontano 1989 ma che era allora, come lo è oggi, perfettamente
attuale.
The Economist |
Le
immagini della vignetta descrivevano ironicamente una delle fonti
dell'attività di negoziazione in un mercato più attento alle voci
che ad altro: la catena
disinformazione-paura-disinformazione-avidità-disinformazione.
L'articolo
a commento della copertina prendeva, più concretamente, lo spunto
dalle recenti vicende della Borsa di Hong Kong che, reduce da un
primo semestre positivo, era precipitata del 35 per cento in un solo
trimestre -dall'inizio di luglio all'inizio di ottobre 1997- un tonfo
attribuito dai commentatori a previsioni di un semplice rallentamento
della crescita delle economie dell'Estremo Oriente.
Tokyo,
a sua volta, era caduta del 19
per cento, ma la
discesa si era tuttavia manifestata, seppure in misura meno
drammatica, anche a New York (meno 9 per cento il Dow Jones),
nonostante gli USA stessero attraversando un periodo di crescita
stabile, con poca disoccupazione e modesta inflazione.
Il
redattore imputava l'accaduto a tre cause.
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La
prima, di tipo psicologico di breve termine: un'irrazionale ondata di
panic-selling, della quale era difficile individuare il momento scatenante iniziale, così come non sempre si
riesce a vedere se ci sia un ghepardo affamato dietro a un branco di
gazzelle o di antilopi in fuga.
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La
seconda, una ragione pratica: la crescente interconnessione delle
economie e dei mercati.
La
terza, ritenuta la più importante, è ancora di ordine cognitivo.
Un substrato psicologico comune ai mercati, al di là delle loro
connessioni economiche e finanziarie.
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Quest'ultimo
fattore viene descritto come una minore sensibilità al rischio di
mercato, indotta negli investitori da una lunga cavalcata al rialzo.
Dal 1996 sino a metà del 1997, negli investitori in azioni ed
obbligazioni asiatiche si era insinuata la convinzione che il premio
al rischio da pagare per quei titoli rispetto a quelli americani
potesse essere, in fondo, trascurabile. Un atteggiamento che viene
riassunto in una lapidaria definizione: hubris (arroganza).
La
parola ci riporta all'aristotelica hybris, la tracotanza degli umani
che, nella tragedia greca, viene inesorabilmente punita con la
némesis, sdegno e vendetta degli dei.
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In
anni più recenti, Nassim Taleb ci aiuterà ad approfondire il
termine, parlandoci di arroganza epistemica.
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Ma
questa è un'altra storia,
una storia di Cigni Neri.
Ne
parleremo.
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